12 ottobre 2010
La generazione dei mai-lavoro
«La situazione è seria, ma le cose vanno meglio»; «stiamo meglio di altri paesi»: solo un paio delle dichiarazioni correnti degli esponenti di governo. La più infame però è quella che sostiene: «La sinistra è felice della crisi per dimostrare che la destra non fa nulla». Affermazione vera, ma solo a metà: l'azione del governo soprattutto in tema di lavoro è disastrosa, ma nessuno è felice per la crisi che colpisce i ceti meno abbienti e che si ripercuoterà sulla vita delle persone ancora per molti anni, prima che si torni ai livelli di Pil e di ricchezza pro capite antecedenti al governo Berlusconi o che si profili un nuovo modello di sviluppo.
Che la situazione non sia affatto buona lo confermano alcuni dati diffusi ieri. In Italia (e in Europa) la situazione non è tranquillizzante. Il tasso di disoccupazione è inchiodato al 10% e oltre 23 milioni di persone sono senza lavoro. La ripresa ancora lenta e fragile - fatta eccezione per la Germania - e per ora non dà sollievo al lavoro. Soprattutto quello giovanile: in Europa il 20% dei giovani non ha lavoro e la percentuale in Italia cresce al 26,8%. Come dire: più di un giovane su 4 è senza lavoro. Politiche attive per il lavoro non se ne sono viste a parte l'elemosina concessa ai precari licenziati. La mancanza di lavoro nel presente significa pensioni ancora più magre per il futuro.
La crisi non ci piace perché con la crisi si sta modificando ulteriormente la distribuzione dei redditi. Il riferimento non è solo alla povertà relativa, ma a chi teoricamente non dovrebbero avere ascolto in un «quotidiano comunista»: i ceti medi che oggi appaiono i più colpiti dalla crisi. I riflessi di questa crisi si leggono nella contrazione dei consumi soprattutto alimentari. Non siamo «consumisti» incalliti, ma questa caduta delle vendite al dettaglio conferma quello che appare un luogo comune: gli italiani stanno stringendo la cinghia, anche se ricorrono sempre più frequentemente al risparmio e all'indebitamento per cercare di mantenere a un livello minimo i consumi essenziali. Ma torniamo al lavoro.
Il tasso di disoccupazione in Italia è inferiore a quella europea solo grazie alla Cassa integrazione, un ammortizzatore sociale che non è stato inventato da questo governo. Attualmente sono in Cig a zero ore l'equivalente di 550 mila lavoratori, compresi i precari in deroga che se rivedranno il lavoro sarà solo «in deroga» cioè un precariato quasi a vita. La Banca d'Italia alcuni mesi fa ha fatto «inbufalire» il governo sostenendo che se ai disoccupati ufficiali aggiungessimo anche i lavoratori in Cig, il tasso di disoccupazione schizzerebbe di circa 3 punti. «Fatevi gli affari vostri», fu la risposta sdegnata del governo per questa invasione di campo che metteva in cattiva luce l'Italia nei confronti internazionali. Bankitalia aveva e ha ragione: gli stati di crisi di molte aziende fanno ritenere che in tempi brevi per molti lavoratori la Cig si trasformerà in mobilità e, quindi, in disoccupazione. La Confindustria ne è consapevole e più o meno sottovoce lo riconosce.
C'è una debolezza strutturale del lavoro. E non solo quello giovanile. Il tasso di occupazione in Italia è a livelli infimi: meno del 57% (46% le donne) di chi potrebbe lavorare lo fa. E circa 3 milioni di lavoratori precari. Un fenomeno che sta esplodendo è quello dell'inattività: sono 15 milioni le donne e gli uomini che non lavorano e non si dichiarano disoccupati. Dentro c'è di tutto a cominciare da chi vive di rendita (pochi); dalle donne (tantissime) costrette al ghetto domestico dalla mancanza di servizi sociali e in particolare di cura delle persone ai lavoratori in nero. Una politica attiva del lavoro dovrebbe puntare a risolvere questi problemi. La risposta, invece, è stata un taglio dei trasferimenti agli enti locali. Il che significa il taglio delle prestazioni sociali o un rincaro delle tariffe, ad esempio per gli asili nido. E questo allontanerà ancora più donne dal mercato del lavoro.
Il tutto in un contesto già noto di «né-né» cioè di milioni di giovani senza futuro che sono in età lavorativa o di studio, ma che non fanno ne l'una né l'altra cosa e sono censiti in un limbo di disperazione e di vita obbligata (altro che bamboccioni) in famiglia. Una sinistra felice per una situazione di disgregazione sociale che porta non al socialismo, ma al berlusconismo esagerato fatto di «Grande fratello» e di improbabile vincite al superEnalotto, non è che l'ultima bestemmia del governo.
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Rifondazione Comunista Bibbiano
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